martedì 8 luglio 2014

VERTEBRE e RICORDI DOLOROSI – Le nostre ossa somatizzano i traumi!

Esiste anche una memoria extracranica, come anticipato in modo illuminante da Giuseppe Calligaris

“…guarda bene la colonna per conoscere la causa della malattia…” Ippocrate


Le “placche cutanee” e la loro “memoria”
Dal 1996 mi dedico assiduamente allo studio e all’indagine di particolari punti cutanei, collegati alla memorizzazione di eventi stressanti, e che sono localizzati sui versanti laterali dei processi spinosi delle vertebre. Si tratta di 24 coppie di punti (o meglio “placche cutanee” come specificherebbe il prof. Giuseppe Calligaris ), scaglionate dalla prima cervicale alla quinta lombare con esclusione del segmento sacrococcigeo. Questi stessi punti sono perfettamente sovrapponibili ai cosiddetti punti Fuori Meridiano, denominati HuaTuojiaji, molto conosciuti in Medicina Tradizionale Cinese.

Quale meraviglia nascondono queste placche spinali? La risposta risiede nella capacità di questi punti di attivarsi in relazione ad accadimenti dolorosi, di registrare cioè gli effetti di esperienze stressanti secondo un preciso modello temporale. Si tratta di una rivoluzionaria ipotesi cronobiologica, densa di ricadute sul piano clinico. La nostra prima riflessione è la seguente: se è plausibile l’esistenza di queste placche spinali, che registrano segnali a carattere traumatico, questo porta a pensare che esistano mappe neurali della nostra memoria autobiografica oltre i limiti dei confini cranici. In altre parole possiamo immaginare che perlomeno anche le strutture nervose spino-midollari possano in qualche misura codificare la registrazione di eventi a connotazione traumatica. Non dimentichiamo inoltre che le strutture spinomidollari (il midollo spinale, per intenderci) rappresentano, sul piano filogenetico, le architetture neurali più arcaiche in senso assoluto, compatibili in questo senso con una forma di “Memoria” meno sofisticata, ma più stabile, perché stratificata in milioni di anni di evoluzione biologica.

Il linguaggio, con cui si esprime questa particolare forma di memoria, è ovviamente un linguaggio “non-verbale”, esplicitato attraverso i meccanismi dei riflessi e della sensibilità. Possiamo quindi definire le strutture spinomidollari come la sede elettiva della “memoria archicorticale”, in contrapposizione con la “memoria paleocorticale” del sistema limbico e con quella “neocorticale” della corteccia cerebrale.
Le nostre “memorie”
Sotto il profilo neurofisiologico il midollo spinale insieme al tronco encefalico rappresenta una fondamentale via di comunicazione degli stimoli e delle informazioni fra la periferia (cute, visceri, apparato locomotore, etc.) e il centro (centri nervosi superiori endocranici) e consente il corretto svolgimento delle nostre attività automatiche e istintuali. Presiede in altre parole al normale funzionamento della nostra vita vegetativa (controllo della respirazione, della frequenza cardiaca, del ritmo veglia-sonno, etc.). MacLean ha denominato “cervello rettile” (reptilian brain) questa porzione del nostro sistema nervoso, perché sostanzialmente simile a quella dei rettili, differenziandolo dalle strutture superiori endocraniche come il sistema limbico, il cosiddetto “cervello emotivo” (mammalian brain) in comune con gli altri mammiferi e gli uccelli, e la porzione più evoluta, la neocorteccia.

La memoria rettiliana e il ricordo dei traumi
Tornando al tema centrale di questo articolo, le indagini da me svolte fino a oggi sul cosiddetto “cervello rettile”, hanno rivelato la possibile esistenza di precise mappe neurali, che agiscono in relazione ad eventi stressanti sulla base di una matrice temporale. In altre parole si tratta di mappe neurali extracraniche collegate alla nostra memoria autobiografica.

Quanto avviene nel corso della nostra esistenza viene così registrato non soltanto nelle aree cerebrali, ma anche in quelle spinomidollari. Ma di quali eventi si fa carico la nostra memoria “rettiliana”? Di quelli relativi ai giorni spensierati e felici della nostra giovinezza o quelli di un lieto evento come il primo amore, la nascita di un figlio, una importante promozione scolastica, un successo lavorativo? No, la memoria “rettiliana” registra in profondità quegli eventi, che abbiamo percepito come minacciosi per la nostra integrità, attivando processi di tipo inibitorio. Il cervello rettiliano prende il sopravvento, perché il suo arcaico codice evolutivo gli impone soltanto di conservare l’individuo e quindi la specie.

La profonda stratificazione di informazioni legate a eventi connotati come “dolore”, “pericolo”, “minaccia”, “separazione”, “allontanamento” o “perdita”, consente di ricordare in modo non-conscio una precedente esposizione, per poterla evitare. L’ingestione innocente di attraenti bacche rosse si può tradurre per l’ominide di un milione di anni fa in una esperienza dall’esito mortale. La fortuita sopravvivenza a questo evento ha il preciso scopo di attivare una reazione di evitamento, ogni qualvolta si venga a contatto con le micidiali bacche rosse. Ricordare l’evento a più livelli, coscienti e non, incrementa statisticamente non soltanto la possibilità di evitare quel particolare tipo di esperienza, ma in ultima analisi la sopravvivenza di quell’ominide, del suo clan e della sua discendenza.

In ultima analisi il nostro cervello rettile contiene una particolare memoria di allarme, che si riaccende prontamente quando il corpo percepisce una vera o presunta riesposizione all’evento traumatico. La reingestione accidentale di bacche rosse simili per forma e colore, ma non tossiche, tenderà a riprodurre nell’ominide una sintomatologia analoga (anche se in scala ridotta) a quella sofferta al primo contatto. La riproduzione dei sintomi simili alla prima esposizione sono innescati in modo automatizzato dalla cosiddetta memoria di allarme del cervello rettile e hanno verosimilmente lo scopo di salvaguardare l’integrità fisica dell’individuo, cortocircuitando l’intenzionalità decisionale della nostra corteccia cerebrale (decidere se ingerire o meno le bacche rosse).

Diversificazioni del processo traumatico
Nel corso della nostra lunghissima evoluzione e della progressiva sofisticazione dei nostri circuiti cerebrali superiori, abbiamo via via potenziato la capacità di elaborare pensieri di tipo astratto. Le fonti di possibile minaccia si sono anch’esse virtualizzate, passando dall’esposizione tossica alle bocche rosse, alla esposizione traumatica di una bocciatura scolastica, di un mobbing strisciante in ambito lavorativo, di un ingiustificato licenziamento, di un divorzio e di altri eventi. Siamo inoltre esposti di continuo ad una serie infinita di microtraumatismi emozionali, che oltrepassano la soglia di coscienza e di cui non siamo apparentemente consapevoli. La memoria di allarme del nostro cervello rettile registra non soltanto gli effetti di eventi evitabili come l’accidentale ingestione di bacche velenose, ma anche gli esiti di esperienze inevitabili come il lutto.

L’irreversibilità di un trauma, come la separazione definitiva dai propri familiari, può determinare sofferenza non soltanto nello spirito, ma anche nel corpo. E’ in grado di attivare processi di natura patologica, che minacciano l’integrità dell’individuo. Allo stato attuale delle ricerche è difficile comprendere perché anche questi ricordi potenzialmente pericolosi per la nostra personale sopravvivenza vengano stratificati nei circuiti spinomidollari della nostra memoria di allarme, se invece il suo preciso scopo sarebbe quello di garantire la difesa della nostra integrità. Nel caso specifico dei traumi da lutto, peraltro così frequenti nella vita dei nostri antenati per le ridotte aspettative di sopravvivenza, potrebbe aver potenziato inconsapevolmente il ricorso alla procreazione, non solo per soddisfare le istintuali modalità riproduttive che ci legano agli altri mammiferi e non solo per rimpiazzare in modo opportunistico i membri familiari deceduti, necessari al sostentamento del clan. Ma la finalità della procreazione in mammiferi così evoluti (forse) come gli essere umani, potrebbe essere anche quella di antidotare il terribile dolore del distacco dai nostri congiunti e garantire in questo modo la conservazione delle nostre memorie attraverso la discendenza.

Punti spinali ed epoche della vita
La finalità di questa lunga introduzione è comprendere se sussista la possibilità di interagire positivamente con i dispositivi della nostra memoria rettiliana, per bilanciare gli effetti tossici delle esperienze traumatiche, a cui siamo esposti nel corso della nostra esistenza. Come ho spiegato all’inizio, abbiamo la possibilità di comunicare in modo sostanzialmente diretto con i dispositivi della nostra memoria rettiliana, accedendo ai punti cutanei di proiezione spinomidollare.

Si formula l’ipotesi, avvalorata sul piano clinico, che ogni punto spinale corrisponda ad una precisa epoca della vita secondo un ciclo ripetuto di 60 anni che parte dalla prima cervicale. In senso craniocaudale la numerazione scende di una vertebra per anno anagrafico (ad eccezione del tratto cervicale) per giungere alla quinta lombare, che corrisponde al periodo dei 30 anni. Poi si compie un giro di boa in senso ascendente per chiudere il ciclo al 60° anno di vita sulla prima cervicale.

Un trauma (lutto, separazione, trauma fisico, etc.) in un certo periodo della nostra esistenza si stratifica su una precisa area, che resta dolorabile anche a distanza di anni. Questi punti spinali possiedono perciò la meravigliosa facoltà di registrare il Tempo della nostra vita, così come gli anelli concentrici della sezione di un tronco documentano l’intero ciclo biologico di un albero. Le verifiche cliniche hanno dimostrato che questi punti temporali possano essere identificati in base alla dolorabilità delle singole vertebre alla digitopressione. Inoltre possono essere eccitati mediante picchiettamento spinale (spinal tap) con il martelletto neurologico e produrre così riflessi nervosi a distanza (sensazioni di caldo e di freddo, orripilazione cutanea, parestesie agli arti, ripercussioni viscerali, etc.) nei distretti somatici, colpiti dagli effetti di un traumatismo emotivo o fisico.

La risposta corporea è totalmente autonoma da possibili arrangiamenti corticali, perché viene generata in modo diretto dalla eccitazione di precise aree riflesse delle strutture spinomidollari. Il riflesso viscerale avvertito in sede gastrica dal paziente dopo stimolazione della seconda lombare (27° anno di vita), corrispondente alla morte del padre per carcinoma gastrico, è un riflesso del tutto nuovo rispetto alla nota segmentazione metamerica (le radici spinali della 2° lombare non innervano infatti lo stomaco). Quale nuovo e misterioso riflesso si è attivato? Si tratta forse di una sensazione soggettiva casuale? Il riflesso generato dai dispositivi “rettiliani” corrisponde ad una precisa mappa neurale extracranica, che contiene dati temporali (il 27° anno di vita) e informazioni viscerali (lo stomaco) come esito di una esperienza traumatica. Le prove sui punti spinali consentono abilmente di cortocircuitare pericolose intromissioni delle strutture e dei circuiti corticali, in grado di generare risposte devianti. Il paziente potrebbe infatti spiegarmi in assoluta buona fede di aver superato totalmente il trauma per la morte del padre.

La verifica diagnostica, ottenuta mediante l’eccitazione dei circuiti spinali, è densa di ricadute sul piano clinico in generale, ma anche su quello specifico della terapia. Queste singolari porte biologiche di accesso temporale sulla colonna ci consentono di intervenire sugli effetti di queste memorie disturbanti, per poter ripristinare l’equilibrio. In che modo? Semplicemente concentrando la nostra azione terapeutica su queste aree cutanee. Si può intervenire con l’agopuntura, la digitopressione locale (Shiatzu sui punti di Hua Tuo), l’applicazione di magneti (osservando le opportune precauzioni), la cromopuntura, il micromassaggio con olii essenziali e Fiori di Bach (floripuntura spinale secondo Di Spazio). A prescindere dalle modalità di intervento, ho denominato questa metodica AgeGate Therapy, per sottolinearne la stretta connessione con la dimensione del Tempo.

A conclusione di questo articolo, desidero riportare una bellissima frase del prof. Giuseppe Calligaris, insigne neuroscienziato, che mi ha guidato in questa difficile, ma esaltante avventura e che afferma in uno dei suoi innumerevoli scritti “…il nostro corpo è uno specchio fedele del nostro spirito, e questo di quello…”.
Placche spinali ed esperienze terapeutiche
Un esempio dalla clinica consente di comprendere meglio la funzione terapeutica di questi singolari punti spinali.
D.L. è una giovane donna di 32 anni, che lamenta da parecchio tempo la comparsa di dolorose cistiti recidivanti. Nel corso degli anni è dovuta ricorrere spesso a terapie antibiotiche per debellare le infezioni vescicali. Gli esami delle urine hanno mostrato la comparsa successiva di diversi microrganismi (coliformi, mycoplasma pneumoniae, etc.), condizionando terapie antibiotiche sempre più aggressive. All’anamnesi personale effettuata in prima visita non sono emersi dati di particolare importanza, se non le classiche malattie esantematiche dell’infanzia e un intervento di appendicectomia a 14 anni. In questa occasione è stato trattato il punto di agopuntura 3 CV per la sua capacità di riequilibrare energeticamente il meridiano della Vescica. Al secondo controllo D.L. riferisce un lieve e temporaneo miglioramento dei sintomi, ma comunque sempre una spiacevole sensazione di peso vescicale.Comunica inoltre di aver annotato i sogni delle prime cinque notti (richiesta effettuata in prima visita) e mostra il foglietto per leggerlo. Due sogni riguardano esperienze della vita quotidiana, mentre il terzo richiama scene di vita scolastica con compagni di classe dei primi anni delle superiori. Alla domanda se ricorda qualche avvenimento stressante di quel periodo, la paziente rimane incerta nel fornire una risposta. Per una manciata di secondi il suo volto appare come congelato, anche se accenna involontariamente una impercettibile contrazione verso il basso degli angoli della bocca. Poco dopo il viso si arrossa, la parola si spezza, e D.L. esplode in un travolgente pianto, scosso da ripetuti singhiozzi. A fatica finalmente si calma e mi confessa di aver abortito intorno ai 16 anni. La successiva indagine sulla colonna vertebrale rileva un intenso dolore puntorio alla digitopressione sulla quarta dorsale, che in aderenza al modello cronobiologico corrisponde esattamente al 17° anno di età. L’eccitazione del punto spinale con il martelletto neurologico accentua in maniera percepibile il senso di “peso” sulla vescica. La stimolazione terapeutica del punto sulla quarta dorsale associata a quella di 3 CV ottiene finalmente gli esiti sperati.

Per approfondire:
Vincenzo Di Spazio, medico, è stato professore incaricato presso la Scuola di Specializzazione in Biotipologia e Metodologia Omeopatica dell’Università di Urbino dal 1994 al 2002. Dal 1996 si occupa di cronobiologia degli psicotraumatismi e su questa base ha elaborato un modello temporale applicato a precise microaree della cute (cronozonidi spinali). Si tratta di particolarissimi punti “trigger”, che segnalano eventi di natura traumatica, e che possono essere stimolati per ottenere un effetto terapeutico (AgeGate Therapy). La scoperta di queste nuove “placche cutanee” si inserisce nel quadro degli studi clinici e sperimentali sulla cute “neurologica”, già estesamente documentati nelle opere del professor Giuseppe Calligaris (1876-1944), geniale e finissimo neuroscienziato italiano, noto per i suoi famosi esperimenti.
Fonte http://www.scienzaeconoscenza.it

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